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Metalogo: È immorale non interessarsi di morale? – Vangelo Laico
Vangelo Laico

Metalogo: È immorale non interessarsi di morale?

Indice dei metaloghi
I nostri evangelisti Bruno, Gilberto e Giovanni, stanno cenando in un ristorante dove ogni tanto s'incontrano per cercare insieme, tra una pietanza e l'altra, la formula intellettuale e morale che salverà la specie umana da una prematura estinzione.

[Bruno] Da quando ero bambino ho una forte coscienza morale di cui non sono mai riuscito a liberarmi. Intendo dire che mi chiedo spesso se il mio comportamento sia morale o immorale. Oggi che ho 71 anni, mi chiedo se l'importanza che la morale ha finora avuto nella mia vita non sia stata eccessiva, in una certa misura patologica, anche perché ho l'impressione che la maggior parte della gente non si ponga problemi morali, almeno a livello conscio, e tanto meno è interessata a discuterne. Perciò mi chiedo, e vi chiedo, se sia immorale non interessarsi di morale.

[Gilberto] Caro Bruno, la tua domanda, così a tarda sera, quando gli umani tendono ad appisolarsi, essendo anche anche io sui 70 anni, è ben breve ma densa ed impegnativa. Prima vi propongo un gioco mentale. Mettiamo che un giorno io vi dicessi “mi piace cucinare, ma tutto sommato mi rendo conto di essere un cattivo cuoco”. Voi potreste rispondere: “allora impegnati di più”. Al che io potrei concludere: “lo so, cari amici, che potrei, ma non mi interessa essere un cuoco migliore”. Penso che voi non avreste nulla da obiettare, giusto? Sostituiamo ora sempre per il nostro gioco mentale, il cuoco con il medico. Già le cose cambierebbero, e parecchio. Non potrei più dire secondo il buon senso che non mi interessa essere un medico migliore. Voi potreste adirarvi con me e magari rivedere in profondità i termini della nostra amicizia. Oppure, ancora, se io vi dicessi che sono un incallito mentitore, o un uomo senza scrupoli. Potrei sempre sostenere con calma olimpica che non mi interessa “essere migliore”? Allora l'importartanza dell'argomento sembra ruotare intorno a ciò che intendiamo per morale. E’ tutto un mondo che qui si apre. Avrei altro da dire ma per ora lascio la parola.

[Giovanni] È per noi importante migliorare? Se la risposta è sì e vogliamo dirci morali, è necessario che siano morali anche i nostri obiettivi. Non sempre lo sono, tra le persone virtuose. Infatti si può essere morali per paura degli altri o addirittura per desiderio di umiliarli, e così facendo fare in fondo loro un torto, oltre che a noi stessi. Vi chiedo dunque di considerare gli obiettivi e le funzioni della morale, e così andare alla radice del discorso.

[Bruno] Gilberto, tu vorresti stabilire cosa intendiamo per morale, e tu, Giovanni, ci inviti a definire gli obiettivi e le funzioni della morale, per poi affrontare la questione se sia importante migliorare. Cercheremo insieme di rispondere a entrambe le questioni, che mi sembrano collegate. Ebbene, io ritengo che la morale riguardi il giudicare il comportamento di un essere umano in quanto più o meno buono o cattivo, giusto o ingiusto, verso altri esseri umani. Infatti, ogni umano può fare del bene e del male ad altri, ovvero può procurar loro piaceri e dolori, contribuire a soddisfare i loro bisogni e desideri, o ostacolarli in tal senso. Potremmo quindi definire come "morale" il comportamento di colui che procura il bene agli altri, o che almeno evita di procurare loro il male, cioè il dispiacere. E potremmo definire "immorale" il comportamento di colui che procura dispiaceri a qualcun altro. Siete d'accordo fin qui?

[Giovanni] Sì, sono d'accordo, ma... si torna al mio punto. Giudizio può voler dire molte cose. Un giudizio può essere morale o immorale. Ad esempio, comunichereste un vostro giudizio a una persona che non sa riceverlo, e dunque ne soffrirebbe senza motivo? Sarebbe il vostro un comportamento morale? Direi dunque che una buona morale riguarda il giudicare in modo costruttivo.]

[Bruno] Concordo sul fatto che una buona morale riguardi il giudicare in modo costruttivo. Tuttavia, occorre definire il concetto di costruttività (in senso morale). Mi chiedo dunque, e vi chiedo: costruttivo per chi? E cosa si dovrebbe costruire? Stiamo in effetti parlando dei fini della morale. Dobbiamo allora chiederci, prima di tutto: a cosa serve la morale? Secondo me il fine, o meglio, l'utilità, della morale è quello di definire regole, direttive, norme, consigli, idee, informazioni, per facilitare l'indispensabile cooperazione tra esseri umani (dal momento che siamo fatalmente interdipendenti) per evitare le violenze e i dispiaceri interpersonali, e per ridurre il rischio di rovina o depauperamento delle risorse di uso comune. Avete idee alternative in tal senso?

[Giovanni] Io direi che è morale ogni morale il cui scopo sia soddisfare al massimo grado i bisogni umani. Questo comporta: distinguere i bisogni che è possibile appagare da quelli che non possono esserlo, ed elaborare la frustrazione dei secondi - ovvero, non scappare davanti a ciò che di inquietante e spiacevole fa parte della nostra vita; riconoscere i bisogni umani concorrenti di regole e libertà (una buona morale non può dunque fondarsi sull'imposizione e la rinuncia al pensiero e al senso critico); riconoscere il bisogno di rispettare, al contempo, se stessi e ogni altra persona; riconoscere che i comportamenti morali sono il risultato di un percorso di esperienza e maturazione, che può (e forse deve) comportare uno o più periodi di immoralità. Questi mi sembrano i punti fondamentali.

[Gilberto] Cari amici, preso atto e riflettendo sui vostri ultimi autorevoli giudizi, sento che per vari sentieri tracciati nella terra ci avviciniamo alla nostra montagna della morale, dalle cui altezze dovremmo infine godere tutti di una vista unica e limpida sulla dignità della vita umana. A questa altezza però è facile vedere e non vedere il sentiero dell'altro. Ci sono cespugli di parole che contengono mondi interi, come Giudizio, Costruzione, Utile, Ragionevole, Regole; e poi ora Bisogni e Soddisfazione. Vedo che voi procedete su sentieri molto vicini, e mi rallegro, e mi preoccupo nello stesso tempo per sentirmi precedere in un sentiero più solitario. Spero non vi dispiaccia, e lo accettiate come quella diversità che aiuta l'esplorazione. Voi parlate di giudizi che in qualche modo siano utili. Giovanni allude al dire o non dire, Bruno dice che bisogna essere costruttivi. Giovanni di nuovo si addentra in nuovi dettagli. In tutto ciò si applicano proporzioni, giudizi relativi, il più o il meno, il quando e il come. E va bene, ma se pensiamo alla vetta della nostra montagna morale, che si staglia netta e visibile a tutti, non intuiamo nelle nostre essenze qualcosa di più elevato e più stabile? A tal uopo è inevitabile riflettere sull'antichissima regola aurea. Essa è stata declinata in tutte le religioni e le filosofie in vari modi. Vi propongo questa solo per ricordare: rispetta la vita, in ogni forma; in te stesso come negli altri e tutto ciò che vive. Mi rendo conto della pochezza di questa notazione, e so che Bruno ne ha già trattato in altra parte, ma la propongo qui come esempio di vero e proprio comandamento morale, in cui ci può essere proporzionalità? Si può rispettare la vita più o meno? E se la vediamo solo come utile, non perde un poco di sua propria luce? E come il rispetto "senza-condizioni" per la vita, ho altri grandi esempi da portare, ma mi fermo; e questo paradosso vi propongo, per stabilire con voi forse una specie di gerarchia, in cui da pochi assiomi possano discendere "teoremi morali", qualitativamente diversi?

[Bruno] Su quanto detto da te, Giovanni, sono sostanzialmente d’accordo. Aggiungerei qualche parola sulla conflittualità interna ed esterna tra i bisogni (includendo in questo termine anche i desideri). E’ infatti possibile, anzi probabile, che vi sia antagonismo tra i bisogni del soggetto (specialmente tra quello di appartenenza sociale e quello di libertà) e al tempo stesso antagonismo tra i bisogni del soggetto e quelli altrui. Credo che la morale riguardi solo la conflittualità esterna, ovvero quella interpersonale, e a tal proposito ritengo un dovere morale almeno interessarsi dei bisogni altrui, cercare di conoscerli, anche se poi dobbiamo scegliere, caso per caso, se cercare di soddisfarli o di contrastarli (per giustificati motivi) o di restare neutrali rispetto ad essi. Su quali bisogni e desideri (propri e altrui) siano da favorire, quali da ostacolare e quali da tollerare si potrebbe aprire un lungo discorso, che però rimanderei ad un metalogo dedicato.
Anche su quanto detto da te, Gilberto, sono sostanzialmente d’accordo, con le seguenti osservazioni. Il nucleo del tuo discorso si può riassumere nel dovere morale di rispettare la vita in ogni sua forma. Ma poi tu stesso ti chiedi se tale rispetto debba essere totale, assoluto, oppure qualificato rispetto ad una “misura” considerata come “sufficiente”. Quello della “misura” della morale mi sembra un tema importante, perché io non credo si possa pensare alla morale come ad una condizione binaria (che c’è o non c’è), e ritengo patologico sia un egoismo sempre nullo, che un altruismo sempre nullo, sia un egoismo sempre totale, che un altruismo sempre totale, e credo che un comportamento sano e morale comporti sempre una certa quantità di egoismo e di altruismo, in un rapporto diverso da persona a persona e variabile nel tempo, e in misure compatibili con le esigenze della convivenza civile. Capisco, Gilberto, il tuo anelito verso “qualcosa di più elevato e più stabile”, e condivido il tuo desiderio di automiglioramento, di crescita, di perfezionamento, purché teniamo presente che la perfezione morale è solo un’idea, e che tale idea può essere realizzata solo in parte. Penso infatti che la “santità” (intesa come perfezione rispetto a qualunque morale) sia una forma di psicopatologia. Tu ci proponi di ipotizzare una gerarchia morale, in cui da pochi assiomi di alto livello possano discendere “teoremi morali” qualitativamente diversi. Mi sembra un obiettivo auspicabile quanto difficile. Se ci riuscissimo si semplificherebbe di molto il problema della morale. Potrebbe essere l’oggetto di un metalogo dedicato. Per ora mi limito a dire che a mio avviso ogni morale “laica” deve derivare dal problema dell’interdipendenza degli esseri umani, e della dipendenza degli esseri umani dall’ambiente naturale. Dato che il ristorante tra poco chiuderà, vi invito a esprimere un ulteriore commento a quanto abbiamo finora detto, ed eventualmente proporre un tema per il prossimo metalogo, prima di accomiatarci.

[Gilberto] Aspettando il parere di Giovanni, farò un commento breve alle vostre ultime osservazioni. Esse sono sicuramente sensate, ed il buon senso in Filosofia è sempre da rispettare. Mi permetto però per un'ultima volta di tenere ancora alta una fiamma, citando i versi di una celebre scrittrice: "La vita dovrebbe essere una ferma e visibile luce". Una luce stabile, quindi, visibile, ferma come un faro che guidi i naviganti. Da una parte tutto quello che avete detto è sensato, ma un vecchio sospettoso come me teme subito l'ingresso del serpente sinuoso dell'utilitarismo e del soggettivismo, se non di peggio. Lo scorso secolo ha visto sanguinose contrapposizioni di "bisogni" elevati addirittura a "spazi vitali", se non di peggio, su cui preferisco sorvolare per non inquinare questo leggero discorrere. Sopra i molteplici bisogni, desideri, proporzioni, antagonismi, misure, soddisfazioni, perfezionamenti, psicopatologie e quant'altro - uso appositamente le vostre parole perché sedimentino, spero, un senso di insufficienza - credo che esista, e sia quanto di più prezioso abbiamo come specie intelligente, un anelito a cercare quella "Luce ferma e visibile". Che non ha aggettivi quantitativi, misure e proporzioni; a cui possiamo tendere, con regole e condotta da essa ispirate. Ritengo però a questo punto di dover smettere il mio argomentare, magari lasciandolo per altri piacevoli giorni di dialogo, anche perché vedo chiaramente che in esso sedimentano i due grandissimi corni della filosofia occidentale; l'essere o il divenire; Parmenide o Eraclito; Platone o Aristotele; l'idea o l'azione. Anche se la vetta della montagna è ancora per me poco visibile, credo che i nostri sentieri si siano mantenuti vicini alla via maestra della morale.

[Giovanni] Siamo partiti da una domanda in apparenza molto semplice, e ognuno di noi ha detto la sua. Ho l'impressione che abbiamo messo troppa carne al fuoco, per stasera, e forse dovremmo riprendere il discorso in altre occasioni, così da fare maggiore chiarezza. Potremmo forse partire dall'ultimo, profondo contributo di Gilberto. L'utilitarismo, il soggettivismo, le ideologie che hanno dominato il secolo passato, con conseguenze non ancora smaltite... Ciascuna filosofia, è evidente, enuncia posizioni morali. Una loro applicazione troppo rigida, oserei dire fideistica, rischia di essere controproducente. Come decidere, dunque, quanto e quando applicare la morale che ognuno di noi considera più appropriata? E' forse necessaria una meta-morale? Io credo di sì e, se ho inteso bene, concordo con l'esortazione di Gilberto a tenerne sempre alta la fiamma. Per il momento mi fermerei qui, in attesa di trovare, con voi, una luce ferma e visibile che ci guidi nella nostra indagine.

[Bruno] Giovanni, credo che tu abbia ragione sul fatto che abbiamo messo troppa carne al fuoco e che dovremmo provare a delineare una meta-morale, cosa che tra l’altro ben si addice ad un “meta-logo”. Giacché è tardi e il nostro ristoratore non smette di fissarci per farci capire che aspetta che ce ne andiamo per poter finalmente chiudere il suo locale, per questa sera non mi dilungherò con altre considerazioni. Mi limito perciò a suggerire come tema per il prossimo incontro, l’applicazione pratica di una morale (qualunque essa sia), vale a dire, chi può o dovrebbe giudicare, con quali accortezze si dovrebbe giudicare, e quali possono essere le conseguenze di un giudizio morale. Che ne dite?

[Giovanni] Se a Gilberto sta bene, sono d'accordo.

[Gilberto] Discutere di meta-morale mi sembra una buona idea. Ed allora, amici, propongo un ultimo brindisi per il nostro prossimo incontro! E che si liberi il ristoratore!

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